Fino a qualche anno fa era considerato un abominio (chi ricorda il film “La sconosciuta” di Giuseppe Tornatore?) pagare una poveraccia per portare avanti una gravidanza e poi consegnare il figlio al “cliente”. Oggi, sdoganato da Niky Vendola, esaltato da Repubblica e dagli altri maître à penser della “sinistra”(non tutti, per fortuna), grazie alla recente sentenza del Tribunale di Trento, l’utero in affitto si avvia a diventare, anche in Italia, un business e la nuova frontiera per i “difensori dei diritti umani”.
Che tacciono su una clausola del contratto: se il neonato non è “sano” (ad esempio down) se lo tiene la madre. Il cliente ha sempre ragione. È il capitalismo, baby.
Francesco Santoianni
PS. Sullo scabroso silenzio delle organizzatrici delle manifestazioni dell’8 marzo su questa questione vedi l’articolo: “Otto marzo: neanche una parola contro l’utero in affitto”